Nonostante le possibilità nuove che il lavoro offre alla donna moderna, in essa noi ravvisiamo sempre la madre, la sorella, la sposa, la compagna della nostra vita, colei che rende meno aspro e più dolce il cammino dell'uomo.
I bambini non vogliono un'incubatrice, una lavapiatti automatica, un aggeggio meccanico che culli i loro sonni, plachi i loro terrori notturni, sopisca le loro ansie. Vogliono una mamma, una donna. E, quasi certamente, un loro bisogno egoistico, una pretesa imperiosa, che non sempre retribuisce, in moneta sonante di affetto e di gratitudine, quanto vien loro dato: però è un' esigenza primordiale della natura umana, come vi illustra Pietro Jahier, dedicata alla madre casalinga, che, spesso, non è ricambiata neppure da un sorriso di riconoscenza o da una parola di comprensione.
La madre casalinga
I figlioli che vogliono essere capiti, che cosa capiscono alla loro volta delle persone care che vivono ed operano per loro?
I figlioli ignorano che quando tutti dormono le ore buone della mattina la madre ha già acceso il fuoco, aperto al lattaio, stabilito il suo piano
strategico per la giornata; che è tornata di mercato con la borsa stivata di provviste da indolenzirle il braccio, dopo aver speso tanti sorrisi e
tanto fiato per tirar sulle compere, dopo aver resistito tutta la via alla tentazione di salire in tranvai, perché il tranvai costa e annulla il risparmio.
Per i figlioli trovar la tavola apparecchiata è cosa naturale, perché si dovrebbe particolarmente esserne grati? La tavola apparecchiata è un'immancabile necessità. Eh! - han l'aria di pensare quando la madre insinua i suoi diritti di benemerenza - le gioie cominciano oltre il cibo!
Anzi l'esplicazione di queste virtù domestiche li trova spesso freddi e riottosi. Spesso la madre quando porta in tavola, dopo tanto arrovellarsi ai fornelli, spia trepidando l'impressione del primo boccone easpetta una parola; ma ecco: il ragazzo s'è intestato a tener aperto vicino alla scodella il testo latino e alterna un distico a un morso, distrattamente, da uomo superiore; gli altri non s'interessano che quando fa le parti: allora a quello non piace il callo, l'altro è disgustato del grasso e le imputa di non essersene ricordata, il terzo fa il delicato e le raccomanda: poco... come se un brincello di pietanza di più lo dovesse rovinare. E quando manca qualcosa:
La frutta, oggi non c'è frutta. - E quasi non bastasse, attaccano perfino i capisaldi su cui poggia l'approvvigionamento e la preparazione del desinare: secondo loro il desinare dovrebbe essere basato non su quello che è conveniente, non su quello che fa comparita, non su quello
che sazia, ma su quello che piace.
Hanno sempre una lezione da ripassare quando c'è da apparecchiare... e quando c'è da sparecchiare han da fare la cartella.
Poi filano a scuola, vuotano la casa e la madre rimane triste, poggiando i gomiti sulla tavola disordinata, da disfare come la mostra d'un
negozio d'estate. Valeva la pena di prodigar le cose migliori! Triste rimane, di quel suo perpetuo fare e disfare senza soddisfazione, e le
riesce più pesante rimettersi in cammino.
Soprattutto rigovernare. La cucina è opprimente nelle ore pomeridiane: invasa dai fumi, dagli odori nauseabondi che salgono dai piani di sotto per il cortiletto comune: di vivande, di lenzuola sordide penzolanti a rifascio dalla finestra del malato che s'alza a mezzogiorno.
Eppure bisogna rigovernare: per rigovernare è necessario immergere le mani nel ranno Il bollente che irruvidisce la pelle e poi la screpola
lasciandovi le sue morsure nere.
Ci vorrebbero i guanti, ma i denari per i guanti non ci sono.
Dunque bisogna rigovernare - l'acquaio ammorba con le sue tanfate di lezzo rancido.
Ahimè! che bisogna proprio rigovernare! Bisogna sempre rifarsi da capo ogni giorno: risciacquare i tegami, risbucciare le patate, rinettare i legumi, rirosolare i soffritti, riapparecchiare, riportare in tavola col sorriso alle labbra.
E poi rigovernare ancora.: ma perfino i tegami stanchi non rendono più, e traverso le screpolature delle vernici bevon gl'intingoli; lo smalto vetrino delle cazzeruole s'è scheggiato in piaghe rugginose! La dentiera della grattugia è rada: e quei figlioli così sconoscenti non capiscono che per andare avanti ci vuole a volta una parola buona come a un cavallo avvilito!
di Piero Jahier
I bambini non vogliono un'incubatrice, una lavapiatti automatica, un aggeggio meccanico che culli i loro sonni, plachi i loro terrori notturni, sopisca le loro ansie. Vogliono una mamma, una donna. E, quasi certamente, un loro bisogno egoistico, una pretesa imperiosa, che non sempre retribuisce, in moneta sonante di affetto e di gratitudine, quanto vien loro dato: però è un' esigenza primordiale della natura umana, come vi illustra Pietro Jahier, dedicata alla madre casalinga, che, spesso, non è ricambiata neppure da un sorriso di riconoscenza o da una parola di comprensione.
La madre casalinga
I figlioli che vogliono essere capiti, che cosa capiscono alla loro volta delle persone care che vivono ed operano per loro?
I figlioli ignorano che quando tutti dormono le ore buone della mattina la madre ha già acceso il fuoco, aperto al lattaio, stabilito il suo piano
strategico per la giornata; che è tornata di mercato con la borsa stivata di provviste da indolenzirle il braccio, dopo aver speso tanti sorrisi e
tanto fiato per tirar sulle compere, dopo aver resistito tutta la via alla tentazione di salire in tranvai, perché il tranvai costa e annulla il risparmio.
Per i figlioli trovar la tavola apparecchiata è cosa naturale, perché si dovrebbe particolarmente esserne grati? La tavola apparecchiata è un'immancabile necessità. Eh! - han l'aria di pensare quando la madre insinua i suoi diritti di benemerenza - le gioie cominciano oltre il cibo!
Anzi l'esplicazione di queste virtù domestiche li trova spesso freddi e riottosi. Spesso la madre quando porta in tavola, dopo tanto arrovellarsi ai fornelli, spia trepidando l'impressione del primo boccone easpetta una parola; ma ecco: il ragazzo s'è intestato a tener aperto vicino alla scodella il testo latino e alterna un distico a un morso, distrattamente, da uomo superiore; gli altri non s'interessano che quando fa le parti: allora a quello non piace il callo, l'altro è disgustato del grasso e le imputa di non essersene ricordata, il terzo fa il delicato e le raccomanda: poco... come se un brincello di pietanza di più lo dovesse rovinare. E quando manca qualcosa:
La frutta, oggi non c'è frutta. - E quasi non bastasse, attaccano perfino i capisaldi su cui poggia l'approvvigionamento e la preparazione del desinare: secondo loro il desinare dovrebbe essere basato non su quello che è conveniente, non su quello che fa comparita, non su quello
che sazia, ma su quello che piace.
Hanno sempre una lezione da ripassare quando c'è da apparecchiare... e quando c'è da sparecchiare han da fare la cartella.
Poi filano a scuola, vuotano la casa e la madre rimane triste, poggiando i gomiti sulla tavola disordinata, da disfare come la mostra d'un
negozio d'estate. Valeva la pena di prodigar le cose migliori! Triste rimane, di quel suo perpetuo fare e disfare senza soddisfazione, e le
riesce più pesante rimettersi in cammino.
Soprattutto rigovernare. La cucina è opprimente nelle ore pomeridiane: invasa dai fumi, dagli odori nauseabondi che salgono dai piani di sotto per il cortiletto comune: di vivande, di lenzuola sordide penzolanti a rifascio dalla finestra del malato che s'alza a mezzogiorno.
Eppure bisogna rigovernare: per rigovernare è necessario immergere le mani nel ranno Il bollente che irruvidisce la pelle e poi la screpola
lasciandovi le sue morsure nere.
Ci vorrebbero i guanti, ma i denari per i guanti non ci sono.
Dunque bisogna rigovernare - l'acquaio ammorba con le sue tanfate di lezzo rancido.
Ahimè! che bisogna proprio rigovernare! Bisogna sempre rifarsi da capo ogni giorno: risciacquare i tegami, risbucciare le patate, rinettare i legumi, rirosolare i soffritti, riapparecchiare, riportare in tavola col sorriso alle labbra.
E poi rigovernare ancora.: ma perfino i tegami stanchi non rendono più, e traverso le screpolature delle vernici bevon gl'intingoli; lo smalto vetrino delle cazzeruole s'è scheggiato in piaghe rugginose! La dentiera della grattugia è rada: e quei figlioli così sconoscenti non capiscono che per andare avanti ci vuole a volta una parola buona come a un cavallo avvilito!
di Piero Jahier
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